Salta al contenuto Passa al footer

Paese che vai, infusione che trovi: teiere e accessori dal mondo

Infondere il tè è una pratica che può differire molto da paese a paese. In questo articolo scopriamo quali sono gli accessori tradizionali e le modalità di infusione in diverse zone del mondo!

Quanti modi esistono nel mondo di infondere il tè? E che tipo di teiere e di utensili si usano? Dalla Cina alla Gran Bretagna, passando per Giappone, Marocco, India e Russia, ecco un piccolo viaggio tra utensili di forme e materiali insoliti: paese che vai, teaware che trovi!

Indice dei contenuti

Cina: tra gaiwan e teiere yixing

Giappone: l’eleganza essenziale di kyusu e shiboridashi

Russia: il fascino del samovar

Marocco: berrad e tè alla menta

India e Pakistan: kulhar chai!

Gran Bretagna: God save the teapot

Cina: tra gaiwan e teiere yixing

In Cina, culla del tè per eccellenza, a livello di teaware ci sono state parecchie evoluzioni nei secoli: la teiera come utensile per il tè fece la sua comparsa in epoca Ming (1368 – 1644), quando si affermò l’uso del tè in foglia e quando anche la popolazione poté finalmente permettersi di bere tè quotidianamente. Prima di allora, infatti, il tè si consumava in torte pressate. Era un bene riservato all’imperatore e alle classi sociali più abbienti, poiché la sua lavorazione era estremamente complessa, faticosa e – di conseguenza – costosa.

Se diciamo Ming, tra l’altro, ci viene spontaneo associare il nome di questa dinastia a un tipo di vaso. Questo perché le squisite e preziose porcellane dell’epoca, graditissime agli europei, venivano largamente importate: dalla Cina giungevano vasellame, piccoli oggetti di arredamento e accessori per il tè dalla fattura pregiata. Tazze e teiere in fine porcellana cinese risultavano leggere e sottili, ma ben resistenti al calore, ed erano quindi molto richieste anche in Europa.

Ma è davvero la teiera in porcellana l’utensile più tradizionale per fare il tè in Cina?

In realtà, il materiale maggiormente usato per creare le migliori e più preziose teiere è l’argilla Yixing, proveniente dall’omonima area nella provincia dello Jiangsu. Ce ne sono di diversi colori, ma tra tutte l‘argilla viola è la più conosciuta e la più pregiata.

Teiera Yixing

In cinese si chiama Zi Sha, che significa “fango viola”. Le sue qualità e la capacità che ha di trasformare (in meglio, ovviamente) il sapore del tè preparato al suo interno dipendono dalla composizione chimica, ricca di caolino, mica, quarzo e molto ossido di ferro.

Con questa argilla vengono modellate teiere spesso costosissime, di piccole dimensioni per poter praticare il gong fu cha (l’infusione in stile orientale) e solitamente dedicate a un’unica tipologia di tè. Questo perché l’argilla è un materiale estremamente poroso, che ha “memoria”: tende infatti ad assorbire il colore del tè e anche i suoi aromi

Per restare in tema di gong fu cha, non potevamo poi esimerci dal citare un altro strumento. Ne abbiamo parlato già ampiamente trattando gli utensili dell’infusione all’orientale: la gaiwan. Questa sorta di tazza senza manico e dai bordi svasati pare abbia origini ben anteriori alla dinastia Ming: un’antenata della gaiwan comparve infatti già in epoca Tang (618–907 d.C.).

Si dice che a Chengdu la figlia del generale Cui Ning, una bimba di appena 8 anni, ne abbia inventato un primo prototipo per non bruciarsi più le dita quando serviva il tè. La bimba aggiunse infatti alla tazza un supporto che la sostenesse dal basso, servendosi semplicemente di un piattino di legno. Per far sì che il supporto non scivolasse, la bimba ebbe la geniale idea sciogliere della cera sul piattino e poggiarvi la tazza, fissandola una volta che la cera si era solidificata.

Soltanto in epoca Ming la gaiwan classica fu poi realizzata in porcellana e dotata di coperchio, assumendo l’aspetto che conosciamo noi oggi.

Gaiwan in porcellana bianca

Come si infonde il tè nella gaiwan?

Rispetto all’infusione all’occidentale, nella gaiwan si versa una quantità di foglie molto maggiore per una minore quantità di acqua; le infusioni sono brevissime (parliamo di pochi secondi) e le stesse foglie si possono così riutilizzare dalle 6 alle 20 volte! Per filtrare il tè, si bloccano le foglie con il coperchio, lasciando passare solo il liquido.

Se vuoi saperne di più sul gong fu cha e su come si usa una gaiwan, ti raccontiamo tutto qui.

Giappone: l’eleganza essenziale di kyusu e shiboridashi

E il Giappone, celebre per i suoi tè verdi in foglia, per il matcha e per l’elegantissima e coinvolgente cerimonia del tè? Che forma ha la teiera tradizionale che troviamo in questo meraviglioso paese? Beh, forse dovrei dire “teiere” al plurale dato che sono due: kyusu e shiboridashi.

La parola “kyusu” significa letteralmente “teiera” in giapponese.  Piuttosto piccina, tondeggiante e dal corpo un po’ schiacciato, la kyusu si distingue per il suo manico laterale posto a un angolo di 90° rispetto al beccuccio, che ne facilita l’impugnatura, e per il fatto di avere un filtro interno incorporato realizzato in metallo o ceramica, che trattiene le foglie più piccole.

Il tè giapponese tipo bancha e sencha, infatti, ha foglie piccole e aghiformi, che rendono necessario un filtro a maglie molto fini per essere bloccate e non finire nella tazza assieme al liquore. La kyusu è solitamente fatta in ceramica o in argilla, ma vengono utilizzati anche altri materiali come ghisa o vetro.

Kyusu, teiera giapponese con caratteristico manico laterale

Questo tipo di teiera trae le sue origini dai vicini cinesi, che esportarono la cultura del tè anche in Giappone: pare che l’antenata della kyusu, prima di essere destinata al tè in epoca Edo (1603 – 1867), avesse molteplici usi: ci si scaldavano acqua e bevande alcooliche, oppure ci si preparava porridge di riso e bevande medicinali a base di erbe.

La seconda tipologia di teiera forse è un pelo meno popolare della kyusu, ma io la trovo squisita a livello estetico: è la shiboridashi (letteralmente: “spremere”), quasi più simile a una gaiwan cinese che a un’effettiva teiera per come la intendiamo noi occidentali.

Com’è fatta? Tradizionalmente in argilla, ha le fattezze di una ciotolina piatta e larga, con una capienza di 100-200ml, un beccuccio appena accennato da cui si versa il tè e un coperchio. Non ha nè filtro, nè manico, ma il movimento per versare il tè una volta pronto risulta comunque facile e fluido: inclinandola e tenendo semplicemente al suo posto il coperchio, il liquido passa infatti dallo spazio che rimane tra quest’ultimo e il beccuccio, mentre le foglie vengono trattenute all’interno. Si usa soprattutto con tè di qualità, come kabuse (ombreggiati) e gyokuro.

Russia: il fascino del samovar

La Russia e il tè: in questa panoramica non potevamo non includere anche questo paese, con tutto il fascino che ci hanno trasmesso i grandi romanzi della sua letteratura. Cosa, meglio del tè forte e caldissimo, addolcito da un cucchiaio di marmellata o da una zolletta di zucchero, può aiutare a superare il freddo intenso degli inverni di Mosca e San Pietroburgo?

Ok, questa è la teiera a mio avviso più scenografica di tutte: il samovar! In realtà, è improprio chiamarlo teiera, visto che si tratta più che altro di un bollitore: “samovar” viene infatti dalle parole russe “samo”, che significa “da solo”, e “varit”, che significa “bollire”. Il samovar è realizzato in metallo, da quelli più poveri sino all’argento e all’oro.

Samovar, accessorio russo per la preparazione del tè

A separare il samovar dal pavimento o dal mobile su cui poggia, per evitare di rovinarne la superficie col calore, ci sono dei pratici piedini. Il corpo principale è composto da una sorta di cisterna per l’acqua, nella quale passa verticalmente un tubo alimentato con carburante solido (da tradizione carbonella oppure pigne secche, che donano al tè un aroma vagamente resinoso): il tubo scalda l’acqua contenuta nella cisterna, che va così in ebollizione. 

Bello, starai pensando, ma il tè?

Sta in cima! Sopra al samovar si posiziona una teiera, anch’essa in metallo, contenente tè nero molto concentrato (zavarka), che viene poi diluito con l’acqua calda del samovar: nella parte frontale della cisterna, collocato in basso, c’è infatti un comodo rubinetto che permette di versare l’acqua calda in tazza nella quantità desiderata.

Marocco: berrad e tè alla menta

Quando si pensa al tè del Marocco, pare già di assaporarne la dolcezza e il gusto fresco delle foglie di menta. È un tè a cui non si può dire di no: oltre a essere buonissimo e super aromatico, è segno di accoglienza.

Scommetto che hai già visualizzato i colorati bicchierini in vetro nei quali il tè alla menta viene servito. Ma con quale teiera si prepara? Con una teiera in metallo conosciuta localmente come berrad: alla vista un piccolo gioiello, riccamente decorato da motivi geometrici o floreali e dotato di un beccuccio lungo e sottile e di un peculiare coperchio a punta. 

Classica berrad marocchina con coloratissimi bicchierini in vetro

Per preparare il tè alla marocchina, la berrad viene posizionata direttamente sul fuoco: se vuoi acquistarne una da usare in maniera tradizionale, accertati quindi che sia di un metallo adeguato allo scopo.

Una volta che il tè è pronto, viene versato e riversato più volte da altezze quasi vertiginose, con uno spettacolare zampillo che dalla teiera finisce nei bicchierini: così si dà una corretta ossigenazione, si fa sciogliere per bene lo zucchero e si esaltano gli aromi del tè verde gunpowder e delle foglie di menta.

India e Pakistan: kulhar chai!

Qui esuliamo un attimo dalle teiere in senso stretto, e scopriamo un altro tipo di accessorio che è facile incontrare per le strade di questi due paesi. Quando in India e Pakistan il chaiwaala, il venditore di tè (chai), serve nel suo negozietto o direttamente sulla strada la sua meravigliosa bevanda calda e speziata, lo si vede spesso armeggiare con tante tazzine piccole in terracotta senza manico: sono i kulhar!

Due kulhar pieni di chai fumante (Fonte: Wikimedia Commons / foto di Biswarup Ganguly)

Il chai, bollente e dolcissimo, viene versato in questi bicchierini solitamente realizzati a mano, dall’aspetto a volte piuttosto grezzo e artigianale, altre volte dalla forma più regolare. Ce ne sono in terracotta semplice, oppure più elaborati, dal bordo decorato con motivi floreali o tribali. Assomigliano spesso a piccoli vasetti per le piante, carinissimi!

I kulhar tradizionali non sono smaltati: il materiale poroso di cui sono fatti fa sì dunque che il tè prenda un sottile aroma di terra, quasi come un puer.

I kulhar sono sicuramente più eco-friendly di altri materiali sintetici ed economici, che purtroppo li stanno rimpiazzando per motivi di costi e praticità. Come racconta un articolo del giornale Live Hindustan di parecchi anni fa, in India ci fu un tentativo da parte delle ferrovie statali di riportare in auge l’uso dei kulhar, cercando di fermare il crescente uso della plastica, tossica e inquinante, ma con scarsi risultati.

In India, il chai è un affare nazionale, è ovunque e comunque. Sui treni i chaiwaala passano in continuazione, distribuendo chai da enormi serbatoi in metallo dotati di dispenser (hanno una sorta di rubinetto), e ce ne sono tantissimi che hanno il proprio banchetto anche nelle stazioni. Ma nemmeno il ministro delle ferrovie Lalu Prasad riuscì nell’inversione di tendenza e il kulhar perse tristemente la battaglia contro il più leggero ed economico polietilene.

Gran Bretagna: God save the teapot

L’ultima tappa di questo breve viaggio intorno al mondo e ai suoi utensili per il tè si conclude vicino a noi, con il classico set da five o’clock tea: siamo in Inghilterra, o meglio, in Gran Bretagna. È una terra che ha fatto del tè un punto saldo della propria cultura, tanto da coniare un’espressione molto peculiare per indicare qualcosa che non è nelle proprie corde: “Not my cup of tea”.

Avrai sentito parlare certamente di afternoon tea: oltre ai pasticcini, agli scones e ai tramezzini al cetriolo che campeggiano su bellissime e romantiche alzatine bianche, l’altro grande protagonista di questa tradizione made in England è solitamente il teaware in fine porcellana o in ceramica, in chiari colori pastello o fantasie floreali.

Tazze e teiere inglesi infatti, sono evoluzioni di quelle cinesi (tanto che porcellana in inglese si dice proprio “china“!). Quando il tè dall’Asia veniva per la prima volta importato in Europa dalla Compagnia delle Indie, nasceva anche la necessità di utensili per prepararlo e consumarlo. I primi servizi da tè arrivavano dunque dai lontani paesi asiatici, con tutte le difficoltà connesse al trasporto di oggetti tanto fragili e dunque costosi.

Entro la fine del 1700, però, ormai il tè in Inghilterra non era più un privilegio riservato a pochi e i ceramisti locali colsero l’occasione per improntare il proprio business sugli utensili da tè, facendo fronte all’enorme richiesta. 

Classico servizio da tè inglese in porcellana

Le teiere britanniche, così come le tazze abbinate, sono solitamente di dimensioni molto più grandi rispetto ai piccoli servizi da tè orientali: in Gran Bretagna si usano teiere da un litro o anche più, riempiendo più volte le capienti tazze e aggiungendo latte e zucchero ai tè dal sapore più robusto come Earl Grey, Assam o Ceylon. Il tè, tra l’altro, accompagna dolci, biscotti e torte, perciò si fanno più refill e durante un afternoon tea se ne consuma ben più di una sola tazza. 

Piccola curiosità: sai perché i britannici hanno iniziato ad aggiungere latte al tè?

Perché all’epoca non tutti si potevano permettere un servizio in  porcellana di qualità, che reggesse il calore intenso dei liquidi bollenti. Così chi comprava servizi da tè in materiale più scadente era costretto a versare del latte per abbassare la temperatura del liquido nella tazza ed evitare che questa si crepasse o si rompesse.


Vuoi arricchire la tua collezione di accessori per il tè? Scopri la nostra selezione!

Lascia un commento

This site is registered on wpml.org as a development site. Switch to a production site key to remove this banner.