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Acqua per il tè: breve guida all’ingrediente più sottovalutato di sempre

Qual è l’acqua migliore per fare il tè? Scopriamolo insieme

Hai scelto delle foglie speciali. Le hai pesate con attenzione, hai scaldato l’acqua per il tè alla temperatura giusta, hai rispettato i tempi di infusione. Eppure, qualcosa non quadra: il colore è spento, il gusto un po’ piatto, lo spettro aromatico… insolitamente timido.

Forse non è colpa delle foglie, ma proprio dell’acqua che hai usato per infonderle.

Nel mondo del tè si parla spesso di cultivar, metodi di lavorazione, terroir, gong fu cha e altre raffinatezze da tea-nerd. Tuttavia, si parla ancora troppo poco della vera protagonista silenziosa di ogni tazza: l’acqua per il tè.

Spesso la si considera solo un mezzo per estrarre aromi e colore, ma in realtà si tratta dell’ingrediente principale. Se consideriamo che una tazza di tè è composta al 99% da acqua, la scelta di questo ingrediente può davvero fare la differenza.

Indice dei contenuti

L’acqua non è tutta uguale

Il ruolo dell’acqua nell’estrazione dei composti del tè

Quali caratteristiche deve avere l’acqua ideale per il tè?

Acqua del rubinetto, acqua in bottiglia o acqua filtrata?

Cosa non usare mai (o quasi)

Una lezione dall’antica Cina: l’intuizione di Lu Yu

Sperimentare per capire: l’esercizio delle quattro acque

Conclusioni: l’equilibrio invisibile

L’acqua non è tutta uguale

L’acqua che usiamo ogni giorno è tutt’altro che “neutra”. A seconda della fonte (rubinetto, sorgente, bottiglia), della composizione e dei trattamenti subiti, può contenere minerali, cloro, metalli pesanti o composti organici che alterano profondamente il risultato in tazza.

Gli elementi più comuni sono calcio, magnesio, sodio, potassio, bicarbonati, solfati e cloruri. La loro presenza determina la durezza e l’alcalinità dell’acqua, due parametri chiave che incidono su colore, corpo e aroma dell’infuso.

Un’acqua ricca di calcio e magnesio, ad esempio, può interagire con i polifenoli del tè formando una sottile pellicola sulla superficie (la cosiddetta “scum”) e provocare torbidità e un gusto amaro, anche se le foglie utilizzate sono di ottima qualità. Al contrario, un’acqua troppo povera – come quella distillata – rischia di produrre un tè pressoché insapore e privo di struttura. L’assenza di sali minerali infatti priva il liquido di qualsiasi sostegno gustativo e impedisce un’adeguata estrazione delle molecole aromatiche più complesse.

Un altro parametro cruciale è la buffer capacity o capacità tampone, cioè la resistenza dell’acqua alle variazioni di pH. Questo valore, legato soprattutto alla concentrazione di bicarbonati, determina quanto il pH dell’acqua rimane stabile quando viene in contatto con sostanze acide o basiche. Una capacità tampone troppo elevata può ridurre la brillantezza aromatica dell’infuso, rendendolo più piatto e meno dinamico al palato. Una troppo bassa, invece, può rendere il tè instabile e soggetto a rapide variazioni sensoriali.

Infine, la presenza anche minima di composti organici volatili (come geosmina o β-ionone), derivati da alghe o da biofilm nei tubi, può conferire un odore e un gusto poco gradevoli al tè. Alcuni di questi composti sono rilevabili anche in concentrazioni infinitesimali e bastano poche parti per miliardo per compromettere irrimediabilmente il profilo aromatico di una tazza.

Il ruolo dell’acqua nell’estrazione dei composti del tè

Le foglie di tè contengono centinaia di molecole solubili: polifenoli, catechine, aminoacidi, caffeina, zuccheri naturali, pigmenti e oli essenziali. Quando versiamo l’acqua, il calore e la composizione chimica del liquido attivano l’estrazione. Ma l’efficacia del processo è fortemente influenzata dalla natura dell’acqua.

Come detto nel paragrafo precedente, il calcio e il magnesio possono legarsi ai polifenoli, alterando la limpidezza e l’equilibrio gustativo del liquore. Oltre a questo, l’acqua agisce direttamente sulla solubilità selettiva dei vari composti: alcune molecole vengono estratte più facilmente in ambiente leggermente acido, altre richiedono un pH più neutro o leggermente alcalino.

L’acidità può favorire l’estrazione degli amminoacidi dolci nei tè verdi giapponesi, conferendo una maggiore rotondità e freschezza, mentre una leggera alcalinità può rendere più espressiva la componente tannica di alcuni tè neri (come per esempio i Second Flush dell’Assam). Tuttavia, un eccesso di alcalinità può anche inibire la percezione degli aromi più delicati e favorire una sensazione più amara in bocca.

Infine, anche l’ossigeno disciolto ha un ruolo chiave: aiuta a liberare le componenti volatili del tè, rendendo il bouquet più ricco e complesso. Un’acqua ben ossigenata sostiene meglio l’apertura aromatica e contribuisce a una maggiore persistenza gustativa. Bollire l’acqua più volte o lasciarla ristagnare nel bollitore riduce drasticamente la presenza di ossigeno, portando a un infuso più piatto,

Quali caratteristiche deve avere l’acqua ideale per il tè?

Per ottenere un’infusione equilibrata, l’acqua deve possedere determinate caratteristiche fisico-chimiche che le consentano di interagire armoniosamente con le foglie. La letteratura tecnica, compreso il white paper dell’UK Tea Academy, suggerisce dei parametri ideali validi per la maggior parte dei tè, anche se va detto che alcune tipologie particolarmente complesse possono richiedere leggere variazioni.

L’indicatore più immediato da considerare è il residuo fisso, cioè la quantità di sali minerali disciolti che rimangono dopo l’evaporazione di un litro d’acqua. Il valore raccomandato per la preparazione del tè è inferiore ai 50 mg/l, una soglia che definisce le cosiddette acque “minimamente mineralizzate”. Acque con residui più alti possono interferire con l’estrazione e modificare il sapore.

La durezza totale, espressa in gradi francesi (°F) o tedeschi (°dH), è un altro parametro fondamentale: rappresenta la quantità di calcio e magnesio presente. Il range ottimale va da 2 a 5 °dH, con un massimo tollerato di 9 °dH. Al di sopra di questa soglia, la torbidità, l’amarezza e la formazione di pellicola in superficie diventano frequenti.

Per quanto riguarda il pH, è preferibile un’acqua neutra o leggermente acida, con valori compresi tra 6,5 e 7. Questo favorisce una buona estrazione degli aminoacidi e degli zuccheri naturali, mentre un pH troppo alto tenderebbe invece a far emergere l’astringenza.

Infine, sono da evitare completamente:

  • la presenza di cloro (anche in tracce),
  • odori o sapori anomali (ferrosi, plastici, sulfurei),
  • l’acqua distillata (priva di sali e ossigeno).

Nemmeno l’acqua apparentemente insapore del rubinetto è affidabile senza filtri specifici. Il consiglio, per chi vuole avvicinarsi a una tazza di qualità, è quindi quello di utilizzare acqua in bottiglia (es. Sant’Anna) o di trattare l’acqua domestica con sistemi di filtrazione dedicati.

Acqua del rubinetto, acqua in bottiglia o acqua filtrata?

È una delle domande più frequenti tra chi si avvicina alla degustazione consapevole. Quale acqua scegliere?

Acqua del rubinetto

È la più accessibile, ma anche la più variabile. In alcune zone, specialmente montane, può essere perfettamente adatta: dolce, leggera, priva di cloro. Ma nella maggior parte dei casi, contiene sali in eccesso, odori indesiderati e sostanze come il cloro, che ne compromettono la qualità.

Non solo: la durezza dell’acqua di rubinetto può variare sensibilmente anche nella stessa città. Per questo motivo, anche chi vive in zone apparentemente favorevoli dovrebbe eseguire test occasionali o affidarsi a un sistema di filtrazione affidabile.

Acqua minerale in bottiglia

È la scelta più immediata per chi cerca un’acqua neutra e stabile. In commercio esistono diverse marche con residuo fisso molto basso e durezza ridotta. Tra le più indicate per il tè troviamo, per esempio, la Sant’Anna (22–43 mg/l a seconda della sorgente). L’unico limite, in questo caso, è la sostenibilità ambientale legata al consumo di plastica e trasporto.

Caraffe, filtri e osmosi inversa

Le caraffe filtranti con carboni attivi o resine a scambio ionico sono un’ottima soluzione domestica, poiché contribuiscono a migliorare il profilo aromatico dell’acqua, andando ad agire sulle impurità. Tuttavia, in termini di depurazione dell’acqua del rubinetto, i risultati migliori si hanno con un sistema a osmosi inversa.

Cosa non usare mai (o quasi)

Nel processo di selezione dell’acqua, è importante sapere non solo cosa cercare, ma anche cosa evitare. Alcune tipologie di acqua, anche se potabili, sono del tutto inadatte alla preparazione del tè e possono compromettere irrimediabilmente il risultato in tazza.

Acqua distillata

L’acqua distillata è priva di sali minerali e completamente demineralizzata. Questo significa che non ha alcuna capacità di sostenere l’estrazione delle molecole aromatiche più complesse contenute nelle foglie di tè. Il risultato è una bevanda piatta, vuota, senza corpo e con un profilo gustativo blando. Inoltre, la totale assenza di minerali compromette anche la percezione della texture del liquido in bocca.

Acqua già bollita o riscaldata più volte

Quando si bolle l’acqua ripetutamente o la si lascia ristagnare nel bollitore, parte dell’ossigeno disciolto si disperde. L’ossigeno è essenziale per una buona apertura aromatica e per la freschezza complessiva del tè. Un’acqua “stanca” porta a un’infusione altrettanto stanca, spenta e meno espressiva dal punto di vista olfattivo.

Acqua calda dal rubinetto

Prelevare acqua già calda dal rubinetto può sembrare comodo, ma è una pessima abitudine per il tè. Spesso, infatti, quest’acqua attraversa tubazioni metalliche o caldaie dove può arricchirsi di metalli pesanti o composti indesiderati. Inoltre, può contenere una maggiore concentrazione di sali e residui, oltre a essere povera di ossigeno. Come già detto, a meno che tu non viva in una zona perfetta dal punto di vista dell’acqua, assicurati di utilizzare dei sistemi di purificazione prima di farne uso per il tè.

Acqua con odori e sapori anomali

Qualsiasi sentore anomalo – ferroso, plastico, di muffa o cloro – che sia percepibile anche solo leggermente nell’acqua pura, si amplificherà nel tè. Le foglie, infatti, agiscono come una lente di ingrandimento: ciò che passa inosservato bevendo un sorso d’acqua diventa evidente in tazza. È per questo che anche una minima contaminazione organolettica può rovinare completamente l’infusione.

Acqua frizzante

Anche se lasciata riposare per eliminare l’effervescenza, l’acqua frizzante non è adatta al tè (qualcuno – Davide – ci ha provato una volta, con risultato tragico). L’anidride carbonica altera il pH e può influire negativamente sull’equilibrio dell’infuso. Alcuni aromi risultano smorzati, altri vengono amplificati in modo sgradevole. Il tè preparato con acqua gassata ha un profilo instabile e poco armonioso.

Una lezione dall’antica Cina: l’intuizione di Lu Yu

Molto prima che esistessero i test per il residuo fisso o i sistemi di filtrazione moderni, il monaco cinese Lu Yu aveva già colto l’essenza della relazione tra acqua e tè. Nel suo celebre Canone del tè (Cha Jing), scritto nell’VIII secolo, descriveva l’acqua come un elemento vivo e determinante per la qualità dell’infuso.

Secondo Lu Yu, la migliore acqua proveniva dai ruscelli di montagna, seguita da quella dei fiumi e infine da quella dei pozzi. Ma il consiglio più poetico e profondo era un altro: utilizzare, ove possibile, l’acqua del luogo in cui è cresciuto il tè. Sebbene oggi sia difficile seguire alla lettera questa indicazione, l’idea resta attualissima. Acqua e tè devono parlarsi, appartenersi in qualche modo. Quando le caratteristiche dell’acqua risuonano con quelle del tè, il risultato è armonia. Non solo nel gusto, ma nella sensazione complessiva dell’esperienza.

Nel nostro mondo moderno, possiamo leggere l’insegnamento di Lu Yu come un invito a non affidarsi al caso nella scelta dell’acqua per il tè, cercando un equilibrio e non necessariamente la perfezione assoluta.

Sperimentare per capire: l’esercizio delle quattro acque

Vuoi davvero renderti conto di quanto l’acqua incida sul profilo di un tè? C’è un esperimento semplice, quasi didattico, che ti aiuterà a percepire differenze spesso trascurate.

Prendi un tè che conosci bene, non aromatizzato, e prepara quattro infusioni identiche, cambiando solo il tipo di acqua:

  • Acqua del rubinetto non filtrata
  • Acqua del rubinetto filtrata con caraffa
  • Acqua minerale a basso residuo fisso (es. Sant’Anna)
  • Acqua oligominerale con residuo fisso medio (es. Levissima, Panna)

Tieni costanti tutte le altre variabili: stessa quantità di foglie, stessa temperatura, stesso tempo di infusione. Assaggia alla cieca, se possibile, o insieme a qualcuno. Prendi appunti su colore, limpidezza, aroma, gusto, corpo e retrogusto.

L’effetto sarà sorprendente: lo stesso tè apparirà più o meno amaro, più o meno aromatico, più o meno limpido. Alcune tazze avranno una piacevole rotondità, altre saranno più sgraziate. È un esercizio utile sia per chi si avvicina al tè, sia per chi vuole migliorare la propria tecnica di degustazione.

Inoltre, dimostra una verità essenziale: l’acqua è un ingrediente, non uno sfondo neutro. Cambiarla può cambiare tutto.

Conclusioni: l’equilibrio invisibile

Quando pensiamo a cosa rende speciale una tazza di tè diamo spesso il merito alla qualità delle foglie, ma il vero segreto è nella loro relazione con l’acqua. Saper scegliere l’acqua giusta significa portare rispetto al tè che abbiamo scelto, ma anche al nostro palato. Significa capire che ogni dettaglio conta… anche se sembra invisibile!


I tuoi prossimi tè preferiti aspettano solo l’acqua giusta

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