Heicha: parliamo di tè fermentati dalle loro origini fino a oggi, fra principesse tibetane e pericolosissime vie carovaniere
Il mondo dei tè fermentati è ampio e ricco di affascinanti storie ambientate in tempi spesso molto remoti. Senza dimenticare la più conosciuta categoria dei tè puer dallo Yunnan, infatti, in questo articolo esploriamo anche altre regioni cinesi che producono tradizionalmente tè fermentati, spingendoci sino ai confini con il Tibet.
Indice dei contenuti
Oltre il Puer: le altre tipologie di heicha
I tè fermentati tibetani e la principessa Wencheng
Le incredibili imprese dei tea porters
Tè tibetani: come si producono e che caratteristiche hanno
Cosa sono gli heicha
Prima di tutto, cosa significa Heicha? Letteralmente, questo termine si traduce dal cinese come “tè nero” (黑 = nero; 茶 = tè) ma non ha nulla a che vedere con quello che intendiamo in occidente. Come già accennato in un articolo precedente, i tè neri a cui facciamo riferimento noi europei sono i tè completamente ossidati, cioè quelli che i cinesi chiamano Hongcha (“tè rossi”), con riferimento alla tecnica di lavorazione e al colore del liquore in tazza.
Con “tè neri” o “tè scuri” si fa invece riferimento più correttamente ai tè fermentati, come ad esempio i puer. Questi sono senza dubbio i tè fermentati più famosi al mondo, ma non esistono solo loro: la categoria dei puer, affascinante e molto controversa (ne abbiamo parlato qui) è solo una delle tante diverse tipologie di tè fermentati ed è originaria unicamente dello Yunnan, provincia cinese sud-occidentale. È bene considerare che ogni area ha i propri tè fermentati, che si differenziano non soltanto per terroir e cultivar (o varietà), bensì anche per un elemento fondamentale: i microrganismi responsabili della fermentazione!
Per ogni zona ci sono infatti muffe e funghi locali, che fanno parte dell’ambiente naturale in cui il tè cresce e viene lavorato, e che danno luogo a fenomeni di fermentazione unici e a tè altrettanto particolari.
La produzione di uno heicha prevede infatti una fase di fermentazione in cui i microrganismi agiscono sulle foglie. Nutrendosi di determinati composti ed espellendone altri, causano quindi una trasformazione delle caratteristiche organolettiche di quel tè: cosa ben diversa dalla semplice ossidazione (fenomeno enzimatico con cui spesso la fermentazione viene confusa).
Oltre il Puer: le altre tipologie di heicha
Liubao
Hai mai sentito parlare del Liubao? Il nome di questo tè viene dall’omonimo villaggio in cui è nato, nella provincia cinese dello Guangxi. Il Liubao è un tè fermentato di antiche origini, già noto alla dinastia Tang (618 – 907) e divenuto nei secoli a seguire sempre più prezioso poiché ritenuto un efficace rimedio naturale contro molti disturbi.
Secondo la medicina tradizionale cinese, infatti, il Liubao ha straordinarie proprietà benefiche e di purificazione per l’organismo, in particolare per il sangue e per il benessere dell’apparato digerente. Ecco come mai era consumato da nobili e richiesto dallo stesso imperatore.
A partire dagli inizi del XX secolo, il Liubao iniziò poi a essere esportato in grandi quantità ad Hong Kong, Macao e in Malesia. Proprio in quest’ultimo paese c’era stata una fortissima immigrazione di minatori cinesi che lavoravano centinaia di metri sottoterra per estrarre lo stagno.
Dovendo passare molte ore al giorno in un ambiente umido e freddo, i lavoratori consumavano enormi quantità di tè Liubao, di cui erano riforniti gratuitamente dalla propria ditta (sembra incredibile, ma faceva praticamente parte del contratto di lavoro!). Il Liubao assumeva quindi il ruolo di bene di prima necessità, che riscaldava i minatori e alleviava i loro malanni grazie alle proprietà medicinali di cui parlavamo.
Così, il Liubao passò dall’essere un tè prezioso riservato ai nobili a ricoprire un ruolo più quotidiano e vicino al popolo. Oggi lo si è riscoperto e se ne producono anche di livello molto alto, come il 2008 Liu bao competition grade “812005” .
Come si produce il Liubao?
Il processo è abbastanza simile a quello del Puer Shu, sebbene molto più lungo e complesso.
Dopo il blocco dell’ossidazione e l’arrotolamento, le foglie calde e umide vengono ammonticchiate in pile destinate alla fermentazione: coperte da un telo umido, riposano per circa 20 giorni. Dopo questa prima fermentazione, il tè subisce una nuova fase di arrotolamento e di asciugatura su legno di pino, dove l’umidità delle foglie si riduce al 15%. A quel punto, avviene un processo di selezione e di blend, seguito da un nuovo riposo di circa 10 giorni. Le foglie vengono vaporizzate e il tè è infine compresso in forma di mattone o dentro cesti di bambù che tradizionalmente oscillano tra i 35 e i 50 kg di peso (oggi si realizzano anche forme molto più piccole e facilmente trasportabili!).
Pensi che la lavorazione del Liubao sia finita qui? Ebbene, no.
Il tè trascorre un altro anno sottoterra, in un ambiente mediamente caldo e molto umido, per poi essere trasportato in superficie all’interno di un magazzino attrezzato. Qui riposerà un altro annetto in un ambiente asciutto, finché non sarà pronto per essere venduto.
Una lavorazione lunga e complessa, dove dalla raccolta alla vendita passano come minimo 3 anni!
Quali microrganismi causano la fermentazione nel Liubao?
Troviamo sia l’Aspergillus Niger, lo stesso fungo responsabile della fermentazione del Puer, sia l’Eurotium Christatum, che conferisce al tè un aspetto puntinato d’oro.
È lo stesso tipo di fungo del celebre tè fermentato Jin Hua (per l’appunto “Golden Flower”, “fiore d’oro”), un tè scuro dello Hunan caratterizzato nell’aspetto da puntini dorati che sembrano proprio dei fiorellini e che ne ricoprono la superficie scura.
Bhutan Ja-Aum Heicha
Ma i tè fermentati ci sono solo in Cina? No!
Noi ne abbiamo scovato uno molto particolare dal Bhutan, uno stato incastonato tra Tibet, India e Nepal: il tè fermentato Bhutan Ja-Aum Heicha.
Si tratta di un tè dalla lavorazione unica: prima della fermentazione vera e propria, le foglie vengono fatte bollire per quasi 3 ore assieme a cenere e corteccia di quercia, arricchendosi di sfumature legnose davvero fuori dal comune.
Il Bhutan, come il Tibet, ha imparato ad amare nei secoli il sapore di tè molto forti da consumare assieme a latte o burro di yak: questo tè fermentato dai toni decisi e incredibilmente avvolgenti è un candidato perfetto. Sicuramente una chicca da scoprire, che introduce il prossimo argomento, ovvero: i tè tibetani.
Tibetan Dark Teas: i tè tibetani
I tè fermentati tibetani, chiamati in cinese Cang Cha (藏茶, traslitterato a volte anche come Zang Cha), sono un prodotto interessante non solo per le intrinseche caratteristiche organolettiche, ma anche per la storia che raccontano. Visto che noi di identiTEA ci siamo invaghiti di più di un tè tibetano incontrato nelle nostre peregrinazioni lavorative, e che li abbiamo poi selezionati aggiungendone alcuni alla nostra collezione, abbiamo pensato di lasciare in questo articolo un po’ di spazio extra a questa categoria di tè per potervi parlare della loro storia e dei loro incredibili sapori.
I tè fermentati tibetani e la principessa Wencheng
I tè di Yǎ’ān
Dove nascono i tè tibetani? “…beh, in Tibet”, potrebbe giustamente rispondere qualcuno. E invece no. Nascono in Cina, sulla montagna di Meng Ding, nei pressi di una città chiamata Yǎ’ān (雅安) situata nella provincia cinese del Sichuan: un’area in cui cadono piogge abbondanti tutto l’anno e in cui il terreno è particolarmente ricco di minerali e sostanze nutrienti – un luogo perfetto per far crescere il tè.
Sulla montagna di Meng Ding si producevano in epoca Song tè sopraffini, destinati a diventare tributo imperiale in quello che pare sia stato il più antico giardino di tè del mondo: il giardino di Qīngfēng, realizzato nel 1186 d.C. a partire da 7 alberi che il maestro Wu Lizhen piantò quasi 1000 anni prima, durante la dinastia Han Occidentale (202 a.C. – 9 d.C.). Si trattava dei primi alberi di tè nella storia a essere piantati e coltivati dall’uomo!
Purtroppo, le numerose guerre intestine per il potere e l’instabilità politica che precedettero l’instaurazione della dinastia Song, causarono negli anni successivi il progressivo abbandono del giardino di Qingfeng. Nel momento in cui l’imperatore Song ebbe bisogno di risorse per la guerra (aka: cavalli) e di assicurarsi tranquillità sui confini occidentali delle sue terre, la produzione di tè a Meng Ding ebbe un target differente.
Biānchá: il tè di confine
Ma allora perché si chiamano tè tibetani se non si producono in Tibet?
L’area di Meng Ding e in particolare la città stessa di Yǎ’ān si trovavano in una posizione strategica, poiché proprio da Ya’an partivano i percorsi carovanieri che collegavano la Cina al Tibet. Uno snodo commerciale importante, che la Cina sfruttò per il baratto perfetto: tè cinese ai tibetani in cambio di cavalli tibetani ai cinesi.
Una situazione win-win: i cinesi arricchivano le loro armate di cavalli robusti e adatti alla guerra e mantenevano una situazione di tregua con i loro vicini tibetani, mentre il popolo tibetano, che viveva ad altitudini considerevoli, in località impervie e tremendamente fredde, poteva beneficiare del tè per scaldarsi, mantenersi in salute e nutrirsi. Il tè non era soltanto una bevanda calda per combattere il gelo, infatti: grazie all’aggiunta di burro o latte di yak, diventava un vero e proprio alimento, fonte di preziose calorie.
Il tè prodotto nell’area di Ya’an era fatto per essere dato ai tibetani, ed ecco come mai oggi noi identifichiamo quella tipologia di tè con il nome di “tè tibetani”. All’epoca, quel tè era chiamato biānchá, “tè di confine”: era coltivato e lavorato convenientemente vicino al confine con il Tibet, così da essere più facilmente trasportato e commerciato oltre frontiera. La necessità, tuttavia, di produrre un tè destinato allo scambio e per una popolazione che non era avvezza alle delicatezze del palato, condusse ben presto a un brusco abbassamento della qualità e all’abbandono del giardino di Qīngfēng.
Il primo milk tea… principesco
Ho parlato poche righe fa dell’uso tibetano di mettere latte o burro di yak nel tè: come nacque questa tradizione? Forse fu il tè ad essere aggiunto al latte di yak: ecco una possibile spiegazione storica.
Nel 641 d.C, all’epoca della dinastia Tang, una delegazione tibetana si recò presso la corte di Chang’an per chiedere che la principessa cinese Wencheng andasse in sposa al principe Gampo.
Il Principe Songtsan Gampo è una figura importante, persino eroica, per il popolo tibetano: unificò il paese sotto il Regno Tubo e promosse una relazione pacifica e di interscambio culturale con la dinastia cinese Tang (si dice abbia persino incoraggiato i figli dei nobili Tubo a studiare la cultura e la lingua cinese inviandoli presso Chang’an). Chiedere la mano della principessa in un’ottica di pace e cooperazione tra i due regni era una mossa strategicamente conveniente per entrambi i popoli.
Tuttavia, muoversi da un paese all’altro all’epoca non era esattamente semplice né veloce: niente aereo, treno proiettile, macchina, nulla di tutto ciò. Ci si muoveva a piedi o a dorso di un qualche animale (cavallo o yak) e gli spostamenti duravano mesi, anni persino.
La povera principessa Wencheng, appena sedicenne, così delicata e abituata agli agi e ai lussi di corte, trascorse 3 anni in viaggio verso i freddi e inospitali territori tibetani. Soprattutto, dovette abituarsi al cibo tibetano – decisamente differente da qualsiasi cosa avesse mangiato e bevuto sino a quel momento!
Il frequente consumo di carne e latte di yak, così nutriente e selvatico nel sapore, le risultarono inizialmente difficili da gestire. Ma Wencheng non si perse d’animo: aveva con sé del tè, che oltre a farla sentire un po’ a casa, le permise di digerire quegli alimenti così ricchi e dagli aromi forti. Nel latte di yak, la principessa infuse dunque del tè e lo addolcì con lo zucchero, creando probabilmente il primo milk tea della storia.
Noi siamo rimasti talmente affascinati dal personaggio della principessa Wencheng che abbiamo deciso di dedicarle un tè, il Tibetan Princess: uno zang cha dalle note dolci di riso glutinoso, bambù e incenso che lascia tutti a bocca aperta.
Le incredibili imprese dei tea porters
Come già in parte raccontato nell’articolo dedicato al tè Puer, il tè che viaggiava al di fuori dei confini cinesi in epoche lontane non lo faceva a bordo di navi cargo, aerei o grossi tir. Le impervie strade che costituivano la Ancient Tea Horse Road erano percorse a dorso di cavallo, mulo, yak o – nel più faticoso dei casi – a piedi. Molti erano i punti invalicabili con altri mezzi, sentieri stretti e talvolta a strapiombo su laghi o valli che mettevano in pericolo la vita di chi vi si arrischiava.
Quando viaggiavano in sella a un cavallo, i tè erano avvolti in pelle di mucca o di altre bestie in modo da non causare escoriazioni all’animale che li trasportavano. I continui sfregamenti potevano infatti dare luogo a ferite e a conseguenti infezioni, che se non curate potevano causare la morte dell’animale.
Quando nemmeno i cavalli passavano dalle strette strade della Ancient Tea Horse Road, entravano in gioco i tea porters: i portatori di tè.
Diretti in Tibet, i tea porters si muovevano a piedi dal Sichuan e in particolare da Yǎ’ān, per raggiungere in una sorta di lunghissima staffetta luoghi impervi e lontanissimi, con la schiena carica all’inverosimile di tè pressato. Non avevano certamente scarponcini da montagna, e talvolta camminavano scalzi o con i piedi semplicemente fasciati in strisce di stoffa. Il lavoro forse più faticoso del mondo, considerando che ogni tea porter reggeva sulla propria schiena un carico fino a 150 kg di tè. Dai racconti e dalle interviste giunti sino a noi, sappiamo che la fatica era immensa per un guadagno esiguo, spesso pagato in riso, e con pesanti e permanenti conseguenze per le articolazioni.
Durante il cammino, i tea porters si aiutavano con un bastone dalla forma a T che permetteva loro di appoggiarvisi, scaricando di tanto in tanto il peso a terra. Questi bastoni si chiamavano guai ed erano alti dal metro al metro e mezzo, con la punta in ferro perché non scivolasse sul terreno. Curiosamente, pare che le prime mosse di kung fu siano nate proprio sulla Ancient Tea Horse Road: usando i guai come arma, i portatori di tè si difendevano abilmente da ladri e assalitori che incontravano sul percorso, ideando le mosse di una delle arti marziali più famose al mondo.
Un altro nostro piccolo omaggio, questa volta proprio alla storica Ancient Tea Horse Road, è lo zang cha Tibetan Road, che si caratterizza per le sue note morbide e antiche di legno, fiori secchi e canfora, capaci di smuovere dolci memorie e malinconie.
Tè tibetani: come si producono e che caratteristiche hanno
Come si diceva qualche paragrafo fa, noi di identiTEA abbiamo voluto includere nella nostra selezione ben 5 tè tibetani, di cui un invecchiato per oltre 30 anni (il Tibetan 90s, un vero tesoro) perché le loro note aromatiche e gustative ci hanno letteralmente conquistato.
Da cosa dipendono queste caratteristiche uniche? Indubbiamente dal terroir e dalla materia prima, ma in questo caso un ruolo fondamentale lo gioca il processo di produzione.
La particolarità di questi tè fermentati è innanzitutto l’aggiunta di rametti e di muschio rosso, rispetto ad esempio ai Puer che sono composti solo da foglie. Per i tè tibetani, insomma, si usa tutta la pianta e anche di più!
Il muschio rosso autunnale è un elemento molto ricco dal punto di vista nutritivo: contiene moltissimi oligoelementi e fibre alimentari. Viene raccolto da rami giovani in condizioni di alta umidità (che contribuisce appunto alla sua formazione) privilegiando la parte più in alto della camellia sinensis.
Mescolando rametti e muschio rosso alle foglie, si crea inoltre dello spazio tra queste ultime, utile a una migliore ossigenazione durante la fermentazione – come avrai notato, le foglie di questi heicha non sono infatti pressate in maniera molto stretta. Ciò porta ad avere un tè con aromi e sapori più intensi e stabili.
La presenza del muschio rosso contribuisce inoltre a rendere più vivo il rosso del tè una volta infuso: il colore del liquore è infatti molto brillante per essere un tè fermentato.
Un altro elemento fondamentale, che dona particolare dolcezza ai tè tibetani, sono le foglie mature, perfette per realizzare i tè fermentati tibetani. Rispetto alle foglie giovani, più fresche ma anche più ricche di polifenoli e catechine, le foglie vecchie o “gialle” con l’invecchiamento e la fermentazione sviluppano sentori molto dolci.
Parlando di lavorazione, possiamo affermare che la produzione degli heicha tibetani, a livello di passaggi, è molto simile a quella del puer shu.
Partendo da un maocha di base (un tè verde la cui ossidazione è stata bloccata con temperature non troppo alte, per non disattivare tutti gli enzimi), si procede poi alla fase di fermentazione che dura circa 30 giorni. Infine avviene l’essiccazione e inizia il lungo periodo di invecchiamento (di minimo 6 mesi).
Il passaggio chiave è la fermentazione, durante la quale le foglie di tè vengono impilate e ripetutamente umidificate in ambienti caldi: questo porta i microrganismi presenti nel tè a crescere, nutrirsi e produrre enzimi extracellulari, che modificano il profilo biochimico delle foglie e danno vita a nuovi composti. Saranno proprio questi nuovi elementi a dare al tè tibetano i suoi sapori caratteristici e anche le proprietà medicinali ad esso tradizionalmente associate.
Sin dall’antichità, infatti, il grandissimo valore che il popolo tibetano attribuiva al tè era dato anche e soprattutto dalle proprietà curative e digestive che gli si attribuivano. Diversi studi hanno poi dimostrato che il tè tibetano è ricco di sostanze bioattive, tra cui polifenoli, polisaccaridi e teobromina, che portano benefici per la salute, come effetti antiossidanti, di riduzione dei grassi, effetti immunomodulatori e persino antipertensivi.